Sulla webtax è stato detto molto, anche su CheFuturo!. Il tema è reale, la soluzione individuata da Boccia & Co semplicemente raccapricciante e ignorante in materia. Come purtroppo spesso accade in Italia, una volta accertata l’esistenza di una problematica ci si sente autorizzati a formulare qualsiasi proposta, anche qualora questa porti a problematiche anziché benefici.
Se la prima bozza addirittura obbligava ogni servizio online a pagamento accessibile dall’Italia ad aprire una partita Iva italiana (da Facebook ad Amazon, passando per i servizi di una nuova piccola startup innovativa svedese), la seconda formulazione, poi approvata, riguarda tutti i servizi di advertising online.
La norma, studiata per colpire e tassare Google ed altri over the top, porterebbe in realtà solamente un aumento dei prezzi dei servizi, un ulteriore ritardo nell’approdo degli stessi in Italia, e la sparizione di tutte quelle piccole realtà di consulenza collegate a Google Adwords e Adsense.
E non prendiamo in considerazione l’ipotesi, per quanto improbabile, che Big G decida semplicemente di sospendere, magari momentaneamente, la propria piattaforma pubblicitaria nel piccolo mercato italiano.
Non vi basta? Ebbene la webtax causerebbe immediatamente l’apertura di una procedura di infrazione europea in quanto non solo vìola il Trattato di Roma, ma non rispetta la trattativa 98/34 che obbliga gli stati membri a notificare alla Commissione europea e agli altri stati tutte le proposte di legge in materia, in modo da garantire la coerenza di una linea unica europea.